Che cosa vogliamo
Snellire lo stato:
Pochi enti che le emanano e applicano.
Che significa
Spendiamo troppo per pagare chi ci dà ordini e divieti, troppo poco per pagare chi ci dà servizi.
Abbiamo troppa gente che ci comanda, poca gente che ci aiuta, troppa gente che ci complica la vita e poca gente che ce la facilita (accudisce i bambini, assiste gli anziani, cura i malati).
Ridurre gli organi e gli enti legislativi sarebbe un risparmio a cui conseguirebbe un miglioramento della nostra vita.
Siamo noi i datori di lavoro dei politici e dei burocrati.
Paghiamo noi i loro stipendi, ed abbiamo quindi il diritto di dire loro cosa vogliamo che facciano e cosa invece vogliamo che non facciano.
Noi non siamo più disposti a pagare, con le nostre tasse, questo gran numero di legislatori e amministratori.
Vogliamo meno dipendenti che producono leggi e regolamenti, più dipendenti che svolgono attività dirette a rendere la nostra vita più comoda, più sicura, meno dispendiosa: che educhino i nostri bambini, assistano i nostri anziani, curino gli ammalati, rendano più sicure le nostre strade.
Vogliamo quindi
- meno enti, organi, società pubbliche, poltrone per politici;
- meno norme, leggi, regolamenti
Pochi enti che le emanano e applicano.
Che significa
- procedure più snelle;
- catene decisionali più brevi;
- meno cause in tribunale;
- meno discrezionalità della pubblica amministrazione, che genera incertezza e corruzione;
- meno impegno per le imprese per lo studio delle norme, e quindi
- più disponibilità per le imprese per lo studio e la ricerca nel loro campo di attività.
Spendiamo troppo per pagare chi ci dà ordini e divieti, troppo poco per pagare chi ci dà servizi.
Abbiamo troppa gente che ci comanda, poca gente che ci aiuta, troppa gente che ci complica la vita e poca gente che ce la facilita (accudisce i bambini, assiste gli anziani, cura i malati).
Ridurre gli organi e gli enti legislativi sarebbe un risparmio a cui conseguirebbe un miglioramento della nostra vita.
Siamo noi i datori di lavoro dei politici e dei burocrati.
Paghiamo noi i loro stipendi, ed abbiamo quindi il diritto di dire loro cosa vogliamo che facciano e cosa invece vogliamo che non facciano.
Noi non siamo più disposti a pagare, con le nostre tasse, questo gran numero di legislatori e amministratori.
Vogliamo meno dipendenti che producono leggi e regolamenti, più dipendenti che svolgono attività dirette a rendere la nostra vita più comoda, più sicura, meno dispendiosa: che educhino i nostri bambini, assistano i nostri anziani, curino gli ammalati, rendano più sicure le nostre strade.
Vogliamo quindi
- meno politici, più medici
- meno amministratori, più insegnanti
- meno scorte, più pattuglie per la sorveglianza del territorio eccetera.
In dettaglio
Le Regioni
Abbiamo veramente bisogno di venti parlamentini che emanano venti leggi diverse sulla stessa materia?
Non sarebbe più logico, giusto ed economico che i diritti e i doveri dei cittadini e delle imprese fossero uguali su tutto il territorio nazionale?
L'impresa che deve realizzare un impianto fotovoltaico, costruire una piscina o scavare un pozzo deve perdere tempo e denaro per conoscere quali devono essere le caratteristiche, le procedure, i limiti stabiliti dalla legge nazionale ma anche dalle leggi regionali, dai regolamenti provinciali e comunali.
Tempo e denaro che non potrà investire per ricerca e innovazione.
Emanare norme ha un costo di produzione: oltre al Consiglio Regionale, con i suoi immobili, dipendenti e attrezzature, ci sono gli uffici legislativi, gli uffici studi, gli uffici preposti alla pubblicazione e alla raccolta delle leggi etc.
L'immane mole di norme comporta inoltre scarsa chiarezza sui diritti e i doveri dei cittadini, cui consegue una frequente litigiosità che intasa di cause i tribunali.
Le regioni dunque possono essere considerate non enti inutili ma enti nocivi, dannosi per il benessere di chi vive e lavora in questo paese, moltiplicando le norme da conoscere e osservare.
Dal 2001 inoltre alle regioni sono state attribuite competenze per i rapporti internazionali e il commercio con l'estero. Di conseguenza gli assessori regionali fanno frequenti viaggi in altri paesi per intrattenere rapporti diplomatici e le regioni hanno aperto 178 sedi diplomatiche all'estero.
In realtà sono ancora poche: gli stati riconosciuti all'Onu sono quasi 200, che moltiplicati per le venti regioni darebbero 4.000 sedi diplomatiche (ma, ad esempio, il Veneto in Cina ha già aperto dieci uffici di rappresentanza).
Abbiamo consentito che i nostri politici moltiplicassero per venti le spese che precedentemente lo stato sosteneva una sola volta per tutti.
Noi riteniamo che sia più facile vivere e lavorare in uno stato in cui le leggi sono poche, chiare e uguali su tutto il territorio nazionale.
Chiediamo quindi che le regioni siano abolite e le loro competenze amministrative vengano distribuite tra le province e lo stato.
Non sarebbe più logico, giusto ed economico che i diritti e i doveri dei cittadini e delle imprese fossero uguali su tutto il territorio nazionale?
L'impresa che deve realizzare un impianto fotovoltaico, costruire una piscina o scavare un pozzo deve perdere tempo e denaro per conoscere quali devono essere le caratteristiche, le procedure, i limiti stabiliti dalla legge nazionale ma anche dalle leggi regionali, dai regolamenti provinciali e comunali.
Tempo e denaro che non potrà investire per ricerca e innovazione.
Emanare norme ha un costo di produzione: oltre al Consiglio Regionale, con i suoi immobili, dipendenti e attrezzature, ci sono gli uffici legislativi, gli uffici studi, gli uffici preposti alla pubblicazione e alla raccolta delle leggi etc.
L'immane mole di norme comporta inoltre scarsa chiarezza sui diritti e i doveri dei cittadini, cui consegue una frequente litigiosità che intasa di cause i tribunali.
Le regioni dunque possono essere considerate non enti inutili ma enti nocivi, dannosi per il benessere di chi vive e lavora in questo paese, moltiplicando le norme da conoscere e osservare.
Dal 2001 inoltre alle regioni sono state attribuite competenze per i rapporti internazionali e il commercio con l'estero. Di conseguenza gli assessori regionali fanno frequenti viaggi in altri paesi per intrattenere rapporti diplomatici e le regioni hanno aperto 178 sedi diplomatiche all'estero.
In realtà sono ancora poche: gli stati riconosciuti all'Onu sono quasi 200, che moltiplicati per le venti regioni darebbero 4.000 sedi diplomatiche (ma, ad esempio, il Veneto in Cina ha già aperto dieci uffici di rappresentanza).
Abbiamo consentito che i nostri politici moltiplicassero per venti le spese che precedentemente lo stato sosteneva una sola volta per tutti.
Noi riteniamo che sia più facile vivere e lavorare in uno stato in cui le leggi sono poche, chiare e uguali su tutto il territorio nazionale.
Chiediamo quindi che le regioni siano abolite e le loro competenze amministrative vengano distribuite tra le province e lo stato.
Il senato
Come si è visto, il sistema bicamerale pone un problema di governabilità: se la maggioranza alla camera non è uguale a quella al senato il parlamento è paralizzato.
Se invece la maggioranza è la stessa si ha una duplicazione di lavoro, perché le due camere hanno gli stessi compiti.Il senato inoltre costa ai contribuenti 600 milioni all'anno.
Noi riteniamo che sia più economico e funzionale il passaggio a un sistema monocamerale, con l'abolizione del senato senza la sua sostituzione con organi diversi.
Il controllo delle norme da emanare, che attualmente è ottenuto con la doppia lettura nelle due camere, potrà essere sostituito dall'approvazione in commissione seguita dall'approvazione in sede di assemblea.
Naturalmente il sistema potrà funzionare solo se i parlamentari lavoreranno regolarmente dal lunedì al venerdì; sarà quindi opportuno prevedere che possano assentarsi dal lavoro solo per giustificato motivo.
L'abolizione del senato compare anche tra le cento idee per l'Italia di Matteo Renzi, il quale però propone di sostituirlo con un nuovo organo di raccordo tra lo stato e gli enti locali. Noi riteniamo che non debba essere sostituito con altri organi; il raccordo con gli enti locali può essere ottenuto rendendo pubblici i disegni di legge sulle materie che li interessano, sollecitando osservazioni e proposte di modifica da parte dei sindaci e dei presidenti delle province.
Se invece la maggioranza è la stessa si ha una duplicazione di lavoro, perché le due camere hanno gli stessi compiti.Il senato inoltre costa ai contribuenti 600 milioni all'anno.
Noi riteniamo che sia più economico e funzionale il passaggio a un sistema monocamerale, con l'abolizione del senato senza la sua sostituzione con organi diversi.
Il controllo delle norme da emanare, che attualmente è ottenuto con la doppia lettura nelle due camere, potrà essere sostituito dall'approvazione in commissione seguita dall'approvazione in sede di assemblea.
Naturalmente il sistema potrà funzionare solo se i parlamentari lavoreranno regolarmente dal lunedì al venerdì; sarà quindi opportuno prevedere che possano assentarsi dal lavoro solo per giustificato motivo.
L'abolizione del senato compare anche tra le cento idee per l'Italia di Matteo Renzi, il quale però propone di sostituirlo con un nuovo organo di raccordo tra lo stato e gli enti locali. Noi riteniamo che non debba essere sostituito con altri organi; il raccordo con gli enti locali può essere ottenuto rendendo pubblici i disegni di legge sulle materie che li interessano, sollecitando osservazioni e proposte di modifica da parte dei sindaci e dei presidenti delle province.
Il CNEL
Costa 20 milioni all'anno, ha prodotto solo 11 disegni di legge in 50 anni.
Noi chiediamo che venga abolito, senza la sua sostituzione con altri organi.
I pareri delle categorie produttive potranno essere acquisiti semplicemente rendendo pubblici i disegni di legge e chiedendo l'opinione degli organismi rappresentativi delle associazione di categoria.
Noi chiediamo che venga abolito, senza la sua sostituzione con altri organi.
I pareri delle categorie produttive potranno essere acquisiti semplicemente rendendo pubblici i disegni di legge e chiedendo l'opinione degli organismi rappresentativi delle associazione di categoria.
Le ProvinceSecondo la Società Geografica Italiana il territorio nazionale dovrebbe essere suddiviso in 36 grandi province sulla base dell’omogeneità storica, geografica e infrastrutturale.
Noi siamo favorevoli all'accorpamento proposto, con l'attribuzione alle province delle funzioni amministrative di gestione delle aree di riferimento, senza potestà legislativa e senza alcuna competenza per i rapporti con gli stati esteri. I Regolamenti provinciali e comunaliAttualmente esistono migliaia di regolamenti sulle materie più disparate, generalmente simili ma diversi tra di loro.
Le norme dei regolamenti sono in genere scritte in modo poco chiaro e a volte in contrasto con le norme di legge a cui dovrebbero essere conformi. Noi chiediamo che il ministero competente emani dei regolamenti standard che potranno essere modificati dai comuni e dalle province con delibere motivate ed entro i limiti stabiliti dalla legge. |
I ComuniOgni comune ha un costo a carico dei contribuenti che non si riduce agli stipendi del sindaco, degli assessori e dei consiglieri comunali, ma deriva dagli immobili, dalle attrezzature, utenze, contabilità, dipendenti (dall'usciere al segretario comunale al comandante della polizia municipale).
Esistono comuni che amministrano milioni di persone ma il 75% dei comuni italiani ha meno di 5.000 abitanti. Noi siamo favorevoli all'accorpamento dei comuni in modo che ognuno abbia come minimo 10.000 abitanti e una superficie minima di 300 Km quadrati. Visto che la superficie complessiva dell'Italia è di 301.277 Kmq, dovrebbero rimanere circa mille comuni. Una stanza degli ex municipi potrà essere utilizzata come sezione distaccata, collegata per via telematica con la sede del comune, con un paio di impiegati addetti al rilascio di certificati, documenti e permessi. Il resto dell'immobile potrà essere restituito in uso ai cittadini, raccolti in associazioni, come centri polifunzionali per essere utilizzato come ludoteca, spazio giovani, centro per anziani, etc. |
Le società municipalizzate
Anni fa non esistevano quasi. Il Comune forniva i servizi pubblici in economia, con un dirigente e gli addetti ai lavori.
Oggi sono circa 8.000, i membri dei consigli di amministrazione sono quasi 25.000, altrettanti sono i membri dei collegi sindacali.
Noi riteniamo che in linea generale le società pubbliche non dovrebbero esistere.
Sono state prevalentemente utilizzate dai comuni per sfuggire alle regole del patto di stabilità e per assumere dirigenti e dipendenti a chiamata e non con concorso pubblico.
Hanno portato a un aumento del costo a carico dei contribuenti a parità di servizi forniti, perché ogni società ha un consiglio di amministrazione, un collegio sindacale, la sua sede, i suoi dirigenti, la sua contabilità etc.
Noi chiediamo che vengano abolite, cioè sciolte o privatizzate: se un'attività corrisponde ad un servizio pubblico essenziale deve essere esercitata in economia dall'ente territorialmente competente, senza consigli di amministrazione o collegi sindacali.
La costituzione di società dovrà essere preventivamente autorizzata in via eccezionale dalla Corte dei Conti, solo per necessità o utilità evidente.
Oggi sono circa 8.000, i membri dei consigli di amministrazione sono quasi 25.000, altrettanti sono i membri dei collegi sindacali.
Noi riteniamo che in linea generale le società pubbliche non dovrebbero esistere.
Sono state prevalentemente utilizzate dai comuni per sfuggire alle regole del patto di stabilità e per assumere dirigenti e dipendenti a chiamata e non con concorso pubblico.
Hanno portato a un aumento del costo a carico dei contribuenti a parità di servizi forniti, perché ogni società ha un consiglio di amministrazione, un collegio sindacale, la sua sede, i suoi dirigenti, la sua contabilità etc.
Noi chiediamo che vengano abolite, cioè sciolte o privatizzate: se un'attività corrisponde ad un servizio pubblico essenziale deve essere esercitata in economia dall'ente territorialmente competente, senza consigli di amministrazione o collegi sindacali.
La costituzione di società dovrà essere preventivamente autorizzata in via eccezionale dalla Corte dei Conti, solo per necessità o utilità evidente.
Le consulenze esterne
La pubblica amministrazione ha oltre tre milioni di dipendenti.Ciò nonostante nel 2011 sono stati spesi due miliardi di euro per oltre 450.000 consulenti esterni.
Noi ci rifiutiamo di credere che la pubblica amministrazione non abbia, tra i suoi numerosi dipendenti, persone dotate della professionalità necessaria allo svolgimento delle attività proprie della Pubblica Amministrazione.
Chiediamo quindi che sia vietato affidare una consulenza a un soggetto esterno alla P.A. senza l'autorizzazione preventiva della Corte dei Conti.
Noi ci rifiutiamo di credere che la pubblica amministrazione non abbia, tra i suoi numerosi dipendenti, persone dotate della professionalità necessaria allo svolgimento delle attività proprie della Pubblica Amministrazione.
Chiediamo quindi che sia vietato affidare una consulenza a un soggetto esterno alla P.A. senza l'autorizzazione preventiva della Corte dei Conti.
Il controllo della spesa
Il Decreto Legge n. 78 del 2010 prevedeva un taglio delle retribuzioni dei dirigenti pubblici nella misura del 5% per la parte eccedente i 90.000 euro e fino a 150.000 euro, nonché del 10% per la parte eccedente 150.000 euro.
La Corte Costituzionale lo ha dichiarato incostituzionale, mentre i contribuenti vedevano il loro reddito decurtato di cifre ingenti dalle nuove imposte o azzerato dalla crisi economica.
Ne consegue che attualmente lo Stato può legittimamente strangolare i contribuenti con la pressione fiscale più alta del mondo pur di non ridurre gli alti stipendi dei dirigenti pubblici.
Anzi, è costretto a farlo.
E' quindi necessario modificare la Costituzione prevedendo che lo Stato possa legittimamente, in caso di crisi economica che comporti una diminuzione del reddito medio nazionale, ridurre gli stipendi e le pensioni più alte per sopravvenuta eccessiva onerosità anzichè aumentare le imposte con cui tali stipendi e pensioni vengono pagati.
La Corte ha ritenuto le norme citate in evidente contrasto con gli articoli 3 ("Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge...") e 53 ("Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva....")
Ma il principio di uguaglianza impone di trattare in modo identico situazioni uguali, in modo diverso situazioni diverse.
Chi lavora nel privato è soggetto al rischio di vedere le proprie entrate ridotte o addirittura azzerate da una crisi economica. Chi è assunto in enti e società pubbliche invece no.
Questa sostanziale diversità può e deve comportare una diversità di trattamento giuridico.
In caso contrario, se la crisi economica dimezzasse le entrate dei contribuenti, lo Stato, dovendo continuare a pagare i suoi dipendenti sempre la stessa cifra, sarebbe tenuto a togliere ai contribuenti il cento per cento dei loro redditi.
Al contrario, la sentenza 446 del 12/11/2002 della Corte Costituzionale, confermando un orientamento consolidato, afferma
"In materia previdenziale deve tenersi conto del principio secondo cui il legislatore può, al fine di salvaguardare equilibri di bilancio e contenere la spesa, ridurre trattamenti pensionistici già in atto.
Perciò, il diritto ad una pensione legittimamente attribuita – se non può essere eliminato del tutto da una regolamentazione retroattiva che renda indebita l'erogazione della prestazione - ben può subire gli effetti di discipline più restrittive introdotte non irragionevolmente da leggi sopravvenute"
E' necessario che, salvando i redditi e le pensioni più basse, tale principio venga riconosciuto in una espressa norma costituzionale riferita anche agli stipendi dei dirigenti della pubblica amministrazione.
Chiediamo inoltre:
La Corte Costituzionale lo ha dichiarato incostituzionale, mentre i contribuenti vedevano il loro reddito decurtato di cifre ingenti dalle nuove imposte o azzerato dalla crisi economica.
Ne consegue che attualmente lo Stato può legittimamente strangolare i contribuenti con la pressione fiscale più alta del mondo pur di non ridurre gli alti stipendi dei dirigenti pubblici.
Anzi, è costretto a farlo.
E' quindi necessario modificare la Costituzione prevedendo che lo Stato possa legittimamente, in caso di crisi economica che comporti una diminuzione del reddito medio nazionale, ridurre gli stipendi e le pensioni più alte per sopravvenuta eccessiva onerosità anzichè aumentare le imposte con cui tali stipendi e pensioni vengono pagati.
La Corte ha ritenuto le norme citate in evidente contrasto con gli articoli 3 ("Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge...") e 53 ("Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva....")
Ma il principio di uguaglianza impone di trattare in modo identico situazioni uguali, in modo diverso situazioni diverse.
Chi lavora nel privato è soggetto al rischio di vedere le proprie entrate ridotte o addirittura azzerate da una crisi economica. Chi è assunto in enti e società pubbliche invece no.
Questa sostanziale diversità può e deve comportare una diversità di trattamento giuridico.
In caso contrario, se la crisi economica dimezzasse le entrate dei contribuenti, lo Stato, dovendo continuare a pagare i suoi dipendenti sempre la stessa cifra, sarebbe tenuto a togliere ai contribuenti il cento per cento dei loro redditi.
Al contrario, la sentenza 446 del 12/11/2002 della Corte Costituzionale, confermando un orientamento consolidato, afferma
"In materia previdenziale deve tenersi conto del principio secondo cui il legislatore può, al fine di salvaguardare equilibri di bilancio e contenere la spesa, ridurre trattamenti pensionistici già in atto.
Perciò, il diritto ad una pensione legittimamente attribuita – se non può essere eliminato del tutto da una regolamentazione retroattiva che renda indebita l'erogazione della prestazione - ben può subire gli effetti di discipline più restrittive introdotte non irragionevolmente da leggi sopravvenute"
E' necessario che, salvando i redditi e le pensioni più basse, tale principio venga riconosciuto in una espressa norma costituzionale riferita anche agli stipendi dei dirigenti della pubblica amministrazione.
Chiediamo inoltre:
- che gli enti pubblici rendano pubblici non i bilanci, incomprensibili per la maggior parte dei cittadini, ma la prima nota: tutte le somme che entrano ed escono, a chi vanno e perché;
- che ogni proposta di delibera che comporti spese a carico dei contribuenti venga resa pubblica con ampio anticipo, salvo ragioni di indifferibile urgenza, con una breve e chiara relazione che illustri le motivazioni della spesa e l'assenza di soluzioni alternative più economiche;
- che tutti i controlli a cui il comune cittadino può essere sottoposto vengano normalmente applicati a tutti coloro che decidono o influenzano la spesa pubblica.
Il Federalismo che vogliamo
"Qualunque imbecille può inventare e imporre tasse. L’abilità consiste nel ridurre le spese, dando nondimeno servizi efficienti, corrispondenti all’importo delle tasse."
Maffeo Pantaleoni
Il privato che spende soldi di tasca sua per produrre beni o servizi è interessato a assumere solo i dipendenti di cui ha necessità e a pagare le materie prime e i beni e servizi intermedi in minimo disponibile sul mercato.
Il politico/dirigente pubblico spende soldi altrui (nostri) ed è invece interessato a assumere più gente possibile e spendere il più possibile per avere riconoscenza e voti.
Il sistema così non può reggere.
I tentativi di premiare il merito dei dirigenti pubblici sono stati fallimentari: la legge 286 del 1999 prevedeva premi di produttività per i dirigenti pubblici che avessero ottenuto il raggiungimento degli obiettivi prefissati.Gli obiettivi erano però così generici e minimi che su 3.769 altissimi funzionari addetti alla macchina statale, quelli premiati col massimo bonus possibile furono 3.769.
Nel 2011 è stato riconosciuto un bonus persino al Elvio Carugno, dirigente della Regione Molise che era in carcere per essersi appropriato di oltre un milione di euro della regione stessa.
Chiediamo che il governo rediga annualmente una pianta organica nazionale del pubblico impiego negli enti locali, utilizzando come parametro il numero di dipendenti degli enti locali più virtuosi, aumentato o diminuito in proporzione alla superficie e alla popolazione di ciascuna provincia e comune.In base alla pianta organica lo Stato provvederà a fornire le risorse necessarie per il costo del personale e dei servizi, nella misura pari al 5% in più della spesa necessaria per l'ente più virtuoso.
Se un comune o una provincia vorrà assumere dipendenti ulteriori dovrà chiedere il denaro necessario ai suoi elettori-contribuenti aumentando le imposte locali.
L'ente locale che riceverà più di quello che ha speso potrà diminuire le imposte locali a carico dei suoi cittadini oppure premiare con dei bonus produttività i dirigenti e i dipendenti che hanno fornito i servizi con una spesa minore rispetto agli altri.
Maffeo Pantaleoni
Il privato che spende soldi di tasca sua per produrre beni o servizi è interessato a assumere solo i dipendenti di cui ha necessità e a pagare le materie prime e i beni e servizi intermedi in minimo disponibile sul mercato.
Il politico/dirigente pubblico spende soldi altrui (nostri) ed è invece interessato a assumere più gente possibile e spendere il più possibile per avere riconoscenza e voti.
Il sistema così non può reggere.
I tentativi di premiare il merito dei dirigenti pubblici sono stati fallimentari: la legge 286 del 1999 prevedeva premi di produttività per i dirigenti pubblici che avessero ottenuto il raggiungimento degli obiettivi prefissati.Gli obiettivi erano però così generici e minimi che su 3.769 altissimi funzionari addetti alla macchina statale, quelli premiati col massimo bonus possibile furono 3.769.
Nel 2011 è stato riconosciuto un bonus persino al Elvio Carugno, dirigente della Regione Molise che era in carcere per essersi appropriato di oltre un milione di euro della regione stessa.
Chiediamo che il governo rediga annualmente una pianta organica nazionale del pubblico impiego negli enti locali, utilizzando come parametro il numero di dipendenti degli enti locali più virtuosi, aumentato o diminuito in proporzione alla superficie e alla popolazione di ciascuna provincia e comune.In base alla pianta organica lo Stato provvederà a fornire le risorse necessarie per il costo del personale e dei servizi, nella misura pari al 5% in più della spesa necessaria per l'ente più virtuoso.
Se un comune o una provincia vorrà assumere dipendenti ulteriori dovrà chiedere il denaro necessario ai suoi elettori-contribuenti aumentando le imposte locali.
L'ente locale che riceverà più di quello che ha speso potrà diminuire le imposte locali a carico dei suoi cittadini oppure premiare con dei bonus produttività i dirigenti e i dipendenti che hanno fornito i servizi con una spesa minore rispetto agli altri.